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Ipoacusia da rumore sul lavoro: come intervenire
26 maggio 2022

L’ipoacusia da rumore è una delle problematiche uditive più diffuse in Italia, ma il dato su cui riflettere davvero è che il 40% dei casi riportati si è sviluppato sul luogo di lavoro. Secondo quanto  riportato dall’INPS, solo nel 2020 (in piena pandemia e quindi con molti lavoratori inoccupati) ci sono stati oltre 3.000 casi di ipoacusia da rumore sul lavoro.

 

In ambito lavorativo, il danno all’udito viene considerato come malattia professionale solo se contratto nell’esercizio ed a causa dello svolgimento di specifiche attività indicate dalla legge, o nell’espletamento di lavorazioni accessorie o complementari a queste, purché svolte nello stesso ambiente (Punto 44, Allegato n. 4 al D.P.R. 9 giugno 1975, n. 482).

Le attività coinvolte sono:

  • lavori dei calderai
  • ribattitura dei bulloni
  • battitura e foratura delle lamiere con punzoni
  • prove dei motori a scoppio
  • produzioni di polveri metalliche con macchine a pestelli
  • condotta di aeromobili
  • fabbricazione di chiodi
  • lavoro di telai
  • taglio di lastre e blocchi di marmo con dischi si acciaio e corona diamantata
  • lavorazioni eseguite con utensili ad aria compressa
  • lavorazioni di produzione degli acciai ai forni ad arco e ad induzione
  • lavorazione con impiego di seghe per metalli
  • prova di dispositivi di segnalazione acustica
  • lavorazione meccanica del legno con impiego di seghe circolari, piallatrici
  • fucinatura nelle fonderie
  • fabbricazione delle falci
  • lavori in galleria con mezzi meccanici ad aria compressa
  • lavori svolti all’interno delle navi (rottura delle lamiere, battitura, verniciatura)
  • tranciatura dei metalli
  • lavori di spray con torce al plasma
  • prova delle armi da fuoco automatiche
  • prova dei motori a reazione.

Purtroppo, in questo elenco mancano alcune attività lavorative che sono sono ugualmente dannose per la salute uditiva, ma che, non essendo contemplate dalla legge, non permettono di richiedere l’indennità per le malattie professionali. Una della categorie professionali non tutelata in materia di rumore è quella dei lavoratori notturni, di chi lavora nei ristoranti, nei locali o nei negozi in cui ci è costantemente la musica ad alto volume. L’esposizione prolungata a rumori anche di poco superiori alla soglia di sicurezza (80 dB) può infatti danneggiare seriamente l’udito al pari di un’esplosione o di una sirena. Altre categorie a rischio ipoacusia da rumore sul lavoro sono gli operatori dei call center, i militari e anche le maestre d’asilo. Può far sorridere, eppure subire per anni e anni il piato acuto dei bambini può compromettere seriamente l’udito.

Come si accerta l’ipoacusia da rumore sul lavoro

Affinché l’ipoacusia da rumore sul lavoro possa considerarsi malattia professionale deve comportare una apprezzabile diminuzione della capacità uditiva. (Art. 78, comma 30, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.)Il danno all’udito deve essere accertato presso il Servizio di Igiene e Sicurezza del Lavoro dell’Asl, oppure a seguito di visita specialistica su indicazione del proprio medico curante. La certificazione deve essere presentata al datore di lavoro entro i 15 giorni dalla visita e sarà compito di quest’ultimo inoltrare la denuncia di malattia professionale all’Inail entro 5 giorni dalla ricezione del primo certificato medico.

In un secondo momento, il lavoratore verrà contattato dall’Inail per effettuare la visita e dovrà presentare:

  • libretto di lavoro,
  • documentazione sanitaria inerente la patologia denuncia,
  • accertamenti sanitari preventivi e periodici svolti in azienda,
  • eventuali certificati di invalidità riconosciuti giuridicamente.

In caso di dubbi, l’Inail può richiedere ulteriori accertamenti sanitari dell’ ipoacusia da rumore.

Il lavoratore può presentare opposizione contro le decisioni assunte dall’Inail e tale opposizione deve contenere:

  • i dati anagrafici;
  • il riferimento all’evento (numero del caso, data dell’infortunio, data del provvedimento);
  • le motivazioni a sostegno dell’opposizione, allegando il certificato medico dal quale emergano gli elementi giustificativi della domanda.

Il procedimento in opposizione si considera concluso nel termine di 150 giorni (120 per le revisioni).

Il lavoratore può farsi assistere nell’opposizione da un avvocato o dal CAF. Nel caso in cui l’istanza sia stata rigettata o, se l’esito non risulti essere soddisfacente, il lavoratore può presentare con la necessaria assistenza di un avvocato, ricorso giudiziale presso il Tribunale del lavoro. Il termine di prescrizione per il ricorso giudiziale è di tre anni e 150 giorni (210 per le revisioni) e decorre dal giorno dell’infortunio. ( Cass., sent.  n. 2285/13 del 31.01.2013.)

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